2002 - Post -Rock - Voto: -/10
Ho sempre pensato che le parole non sempre servono, spesso sono fuorvianti e mal interpretate, forse sopravvalutate. Affidargli troppo potere può essere un'arma a doppio taglio, ogni parola ha dei significati diversi in ognuno di noi e questi dipendono dalla nostra esperienza e dalla nostra persona. Sono inoltre legate al tipo di rapporto con l'interlocutore, ogni rapporto porta con sé un certo peso dato alla parola. Sono state modificate e storpiate, il loro significato non è più quello originario e hanno subito un costante abuso che le ha portate ad essere quelle che sono attualmente: pericolose. Le parole implicano comunicazione e questa ha, come principale problema, l'illusione che sia avvenuta. Esistono invece concetti che difficilmente si riescono ad esprimere, vanno vissuti sulla propria pelle, vanno sentiti. Inutile descriverli, perderebbero la loro purezza, la loro magia. Bisogna essere per certi aspetti egoisti, tenerli solo per noi e non sciuparli tentando di descriverli. Da qui il controsenso di questa recensione, usiamo parole per descrivere esperienze talmente tanto personali che l'ascoltatore, per quanto si sforzi, non potrà mai comprendere a pieno.
In questo controverso capitolo i Sigur Ròs portano all'estremo l'abbandono del superfluo, niente parole inutili, nessuna abbondanza. Nessuna lingua conosciuta, solo il canto sfuggente e celestiale di Jonsi che ci prende per mano e ci conduce nel bianco più accecante ed ultraterrano, ci ammalia e ci seduce con i suoi vocalizzi, ci rilassa e, per certi aspetti, ci purifica. Riescono perfettamente ad emulare le pulsazioni della nostra anima, ci lasciano sospesi in questo vuoto etereo ed impalpabile, siamo circondati dalla nebbia e stiamo viaggiando all'interno di noi stessi, dentro la nostra anima. Giocano inoltre con le nostre emozioni alternando sensazioni opposte come la luce accecante del giorno con l'oscurità della notte, il freddo dei ghiacciai con il caldo dei nostri corpi. Il tutto è estremamente dosato, emotivo, viscerale. Il nostro viaggio è sfumato, indefinibile; stiamo entrando in contatto con noi stessi, ci stiamo avvicinando al nostro io. Si alternano paesaggi onirici ed sognanti, siamo condotti in mezzo alla foschia e siamo sedotti prima che riusciamo ad accorgercene. Siamo cosi distanti da quell'Islanda concreta e tangibile presentata in Ágætis Byrjun, i vulcani e le enormi distese di giacchio si possono solo vagamente intravedere dietro il muro di foschia che ci avvolge e che ci coccola, il tutto è un unico flusso di emozioni, stiamo facendo un viaggio che cancella ogni macchia dalla nostra anima, che ci fa avvicinare a noi stessi.
Sicuramente non un disco facile, può risultare ripetitivo e a tratti noioso ma, se si è nel mood giusto, può farvi vivere un'esperienza unica, indimenticabile.
Siamo di fronte ad un capolavoro, non ci resta che toglierci il cappello e chinare il capo.
sabato 21 luglio 2012
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solo la recensione richiede un attentissimo ascolto!!!
RispondiEliminaQueste recensioni mi danno sempre, e ogni volta in modo più intenso, la possibilità di sentire la musica come solo chi la ama davvero sa fare, e di sentirla nel senso più completo che si possa intendere, viscerale appunto, come dici tu.
RispondiEliminaHo ascoltato grazie a te qualcosa di questo disco, lontanissimo dalla mia idea e dalla mia esperienza di musica, l'ho ascoltato in uno di quei rari momenti in cui si è davvero pronti a lasciarsi prendere e trasportare e il suono è diventato immagine e odore e qualcosa d'altro ancora...una corrispondenza...