Penso sia buona l'occasione per consigliare, stavolta, non un disco ma una discografia (o quasi).
Nell'occasione del natale, potreste regalare o regalarvi qualche produzione di questo gruppo: per stupire e per stupirsi. Ma bisogna avere un minimo di gusto: non è chiaramente regalo adatto a tutti.
Faccio un tributo più lungo di un disco, ma più breve di una discografia, anche perchè questo complesso è di Agropoli, provincia di Salerno. E dal sound e dalle parole, dal gusto, si direbbero internazionali.
Job (2001)
Direi decisamente un disco per avvicinarsi al gruppo. Un debutto in piena regola, con discontinuità sia nella produzione che nella composizione. Eppure tante idee, tanto potenziale e già tante canzoni splendidamente indispensabili. Ho notato che almeno 3 canzoni sono state messe in tracklist per fare numero dato che sanno di "avanzi" da cantina-sala-prove. Eppure in questo disco sentiamo la Seattle di inizio anni '90, un'influenza anni '70, un'elettronica fantasiosa e ben congegnata, Ennio Morricone è onnipresente; testi e melodie molto ricercati e affatto banali.
Voto: 8,5
Cuckoo Boohoo:
how to heal your broken hearts/the breakup repair kit
(2004)
Ho voluto riportare il sottotitolo intorno all'buco centrale del cd.
Già questo suggerisce un disco molto molto intimo, il meglio riuscito su questo stile.
A 3 anni da job, i nostri trovano una coerenza e una dolcezza maggiore. Aumenta e si stabilizza la qualità della produzione. Probabilmente il loro capolavoro introspettivo.
Arrivano i primi videoclip (Peter Pan syndrome), le canzoni strappacuore dove l'influenza degli Eels è stata metabolizzata in una maniera che li rende addirittura superiori ai maestri, a mio gusto. Sto parlando di "Hengie: queen of the border line". Altro pezzo imperdibile: "Elephant man".
Su questo album il sound è più "classico" ma l'elettronica non manca; grande uso di pianoforte.
Produzione buona; livelli troppo alti nel mastering portano al clipping in alcuni tratti.
Voto: 9
Salto cronologico di due album ed un EP, approdiamo a
Midnight (R)Evolution (2011)
Quà il sound si modernizza ma non abbandona le radici. I nostri adottano il concept-album, sul sociale chiaramente. La copertina, splendida, dice tutto. Il lavoro fotografico per booklet del disco, ne rende obbligatorio l'acquisto. Tutto sommato ben prodotto.
Lascio a voi ogni altro giudizio, i capolavori: Aphelion e You can't stop me now
Altri pezzi consigliati: Noir Dance, Lotus, Nightmare City ecc...
Voto: 9
Da Lince un laicissimo buone feste a tutti!
giovedì 20 dicembre 2012
mercoledì 5 dicembre 2012
Winger: IV
1993, i Winger pubblicano Pull
2006, viene dato alle stampe IV
Se c'è una regola che ho imparato è che un album di ritorno dopo 13 anni, è stracarico di nuove idee e tanto tanto pathos. Altrimenti che ragione ci sarebbe di pubblicare un disco dopo 13 anni? Perchè non dopo 3-5 anni? Kip Winger si sveglia una mattina ed ha in mente il disco, ecco perchè!
Una moderna Rock Opera dedicata ai marines americani, dai quali i Winger hanno ricevuto anche una targa di ringraziamento.
La copertina è disegnata da Ethan Van Sciver, artista DC Comics.
Le chitarre sono più scure che in passato, l'atmosfera è carica di angoscia, i suoni suggeriscono una gabbia di cielo notturno, con la luna unica guida dei soldati. Ma è solo una mia suggestione.
E' certamente interessante notare le sperimentazioni introdotte da questa ambiziosa band: su
"Four Leaf Clover" possiamo sentire un arpeggio ostinato che comprende 3 corde a vuoto accordate identiche.
La jam alla fine di "Generica". L'arpeggio di basso che guida "Blue suede shoes" con le chitarre acustiche reversate e la voce col flanger... E' impossibile non apprezzare questo disco.
I testi sono animati da un'angosciata speranza: i soldati guardano in direzione di casa ma no, non è finita.
Il dovere è dovere; l'onore è dovere, anche se è dura.
"Put on my blue suede shoes. Don't you know someone you'd die for?"
"Four leaf clover" da il senso di quanto sia dura affrontare il fatto che lei ti "sta illudendo solo per tenerti vivo, ma il telefono squilla e lei non c'è. Mi spacciano prozac, ma non c'è cura per un addio".
Il flow di "Disappear" è semplicemente impareggiabile, come non notare il riff iniziale monocorde fortemente distorto? Tastiere al posto giusto e mai invadenti, testi massimi:
I will cease to exist
disappear in your love
Lost in your holy bliss
Your everlasting kiss
disappear in your love
Le carezze iniziali sulle corde, elettriche, il riff che introduce la batteria di "Can't take it back"...
Sebbene giusto due canzoni spezzano un po' il livello del disco, di certo non rovinano e non sono di troppo, quindi decido per il massimo dei voti anche per le intenzioni ed i concetti; e per il sound.
Un capolavoro Hard Rock, firmato Winger.
Brani consigliati: ne ho nominati tanti, aggiungerci "M16" e "On a day like today" sarebbe quasi nominare ogni traccia...
Colore: cobalto spento
Voto: 10
Etichette:
2006,
concept,
hard rock,
lince,
rock opera
mercoledì 28 novembre 2012
The Cure: Acoustic Hits
I Cure. O almeno un loro condensato, acustico datato 2001.
Il doppio Greatest Hits include due dischi, con la stessa tracklist: una raccolta delle versioni originali studio dei brani più famosi, l'altro è Acoustic Hits.
Semplicemente immensi. Ho trovato veramente superbi gli arrangiamenti, specialmente la batteria molto presente; tutto il resto, è al posto giusto. Il sound, sublime. Ascoltare per credere
Simone (spesso ubriaco) sostiene che "acustico anche le canzoni più tristi sono allegre".
Grazie.
Tracce consigliate: praticamente tutte. The walk la trovo futile, ma nella versione originale è anche peggio.
Voto: 9,5
Etichette:
2001,
alternative rock,
lince,
new wave,
post punk,
spesso ubriaco
lunedì 1 ottobre 2012
Dark Tranquillity: Mind's I
La quasi totalità dei gruppi venuti dopo, sono niente. Gruppo ineguagliabile soprattutto in questo disco e nel precedente "The Gallery".
Vi consiglio però "The Mind's I" in quanto è un amore più recente per me.
inutile classificare, provate solo ad ascoltare e lasciatevi semplicemente trascinare fino a fine disco.
segnalo inoltre questo in quanto colpisce la qualità di produzione, senz'altro la migliore della loro discografia.
Brani consigliati: se al settimo brano non siete innamorati, cambiate disco.
Voto: 9,5
lunedì 17 settembre 2012
Sadist: Season In Silence
2010 - Extreme Metal - Voto: 8/10
L'ultima fatica degli italiani Sadist, che ci allietano con un bel disco di Metal estremo di grande perizia tecnica, come nella loro migliore tradizione. Secondo me miglior metal band tricolore di sempre, nonostante il passo falso di Lego.
L'ultima fatica degli italiani Sadist, che ci allietano con un bel disco di Metal estremo di grande perizia tecnica, come nella loro migliore tradizione. Secondo me miglior metal band tricolore di sempre, nonostante il passo falso di Lego.
martedì 14 agosto 2012
Prong: Carved Into Stone
2012 - Metal - Voto: 8/10
Tornano i Prong di Tommy Victor, con il loro thrash metal venato di alternative, industrial e new wave (essendo i Killing Joe fra le loro influenze e avendo avuto per un periodo in formazione il loro bassista Paul Raven) in un disco che trova la band in forma abbastanza buona. Ammirevole la perseveranza di Tommy Victor che, nonostante il periodo commercialmente migliore del gruppo sia passato da un pezzo, continua a sfornare dischi sempre interessanti.
Tornano i Prong di Tommy Victor, con il loro thrash metal venato di alternative, industrial e new wave (essendo i Killing Joe fra le loro influenze e avendo avuto per un periodo in formazione il loro bassista Paul Raven) in un disco che trova la band in forma abbastanza buona. Ammirevole la perseveranza di Tommy Victor che, nonostante il periodo commercialmente migliore del gruppo sia passato da un pezzo, continua a sfornare dischi sempre interessanti.
sabato 21 luglio 2012
Sigur Ròs - ()
2002 - Post -Rock - Voto: -/10
Ho sempre pensato che le parole non sempre servono, spesso sono fuorvianti e mal interpretate, forse sopravvalutate. Affidargli troppo potere può essere un'arma a doppio taglio, ogni parola ha dei significati diversi in ognuno di noi e questi dipendono dalla nostra esperienza e dalla nostra persona. Sono inoltre legate al tipo di rapporto con l'interlocutore, ogni rapporto porta con sé un certo peso dato alla parola. Sono state modificate e storpiate, il loro significato non è più quello originario e hanno subito un costante abuso che le ha portate ad essere quelle che sono attualmente: pericolose. Le parole implicano comunicazione e questa ha, come principale problema, l'illusione che sia avvenuta. Esistono invece concetti che difficilmente si riescono ad esprimere, vanno vissuti sulla propria pelle, vanno sentiti. Inutile descriverli, perderebbero la loro purezza, la loro magia. Bisogna essere per certi aspetti egoisti, tenerli solo per noi e non sciuparli tentando di descriverli. Da qui il controsenso di questa recensione, usiamo parole per descrivere esperienze talmente tanto personali che l'ascoltatore, per quanto si sforzi, non potrà mai comprendere a pieno.
In questo controverso capitolo i Sigur Ròs portano all'estremo l'abbandono del superfluo, niente parole inutili, nessuna abbondanza. Nessuna lingua conosciuta, solo il canto sfuggente e celestiale di Jonsi che ci prende per mano e ci conduce nel bianco più accecante ed ultraterrano, ci ammalia e ci seduce con i suoi vocalizzi, ci rilassa e, per certi aspetti, ci purifica. Riescono perfettamente ad emulare le pulsazioni della nostra anima, ci lasciano sospesi in questo vuoto etereo ed impalpabile, siamo circondati dalla nebbia e stiamo viaggiando all'interno di noi stessi, dentro la nostra anima. Giocano inoltre con le nostre emozioni alternando sensazioni opposte come la luce accecante del giorno con l'oscurità della notte, il freddo dei ghiacciai con il caldo dei nostri corpi. Il tutto è estremamente dosato, emotivo, viscerale. Il nostro viaggio è sfumato, indefinibile; stiamo entrando in contatto con noi stessi, ci stiamo avvicinando al nostro io. Si alternano paesaggi onirici ed sognanti, siamo condotti in mezzo alla foschia e siamo sedotti prima che riusciamo ad accorgercene. Siamo cosi distanti da quell'Islanda concreta e tangibile presentata in Ágætis Byrjun, i vulcani e le enormi distese di giacchio si possono solo vagamente intravedere dietro il muro di foschia che ci avvolge e che ci coccola, il tutto è un unico flusso di emozioni, stiamo facendo un viaggio che cancella ogni macchia dalla nostra anima, che ci fa avvicinare a noi stessi.
Sicuramente non un disco facile, può risultare ripetitivo e a tratti noioso ma, se si è nel mood giusto, può farvi vivere un'esperienza unica, indimenticabile.
Siamo di fronte ad un capolavoro, non ci resta che toglierci il cappello e chinare il capo.
Ho sempre pensato che le parole non sempre servono, spesso sono fuorvianti e mal interpretate, forse sopravvalutate. Affidargli troppo potere può essere un'arma a doppio taglio, ogni parola ha dei significati diversi in ognuno di noi e questi dipendono dalla nostra esperienza e dalla nostra persona. Sono inoltre legate al tipo di rapporto con l'interlocutore, ogni rapporto porta con sé un certo peso dato alla parola. Sono state modificate e storpiate, il loro significato non è più quello originario e hanno subito un costante abuso che le ha portate ad essere quelle che sono attualmente: pericolose. Le parole implicano comunicazione e questa ha, come principale problema, l'illusione che sia avvenuta. Esistono invece concetti che difficilmente si riescono ad esprimere, vanno vissuti sulla propria pelle, vanno sentiti. Inutile descriverli, perderebbero la loro purezza, la loro magia. Bisogna essere per certi aspetti egoisti, tenerli solo per noi e non sciuparli tentando di descriverli. Da qui il controsenso di questa recensione, usiamo parole per descrivere esperienze talmente tanto personali che l'ascoltatore, per quanto si sforzi, non potrà mai comprendere a pieno.
In questo controverso capitolo i Sigur Ròs portano all'estremo l'abbandono del superfluo, niente parole inutili, nessuna abbondanza. Nessuna lingua conosciuta, solo il canto sfuggente e celestiale di Jonsi che ci prende per mano e ci conduce nel bianco più accecante ed ultraterrano, ci ammalia e ci seduce con i suoi vocalizzi, ci rilassa e, per certi aspetti, ci purifica. Riescono perfettamente ad emulare le pulsazioni della nostra anima, ci lasciano sospesi in questo vuoto etereo ed impalpabile, siamo circondati dalla nebbia e stiamo viaggiando all'interno di noi stessi, dentro la nostra anima. Giocano inoltre con le nostre emozioni alternando sensazioni opposte come la luce accecante del giorno con l'oscurità della notte, il freddo dei ghiacciai con il caldo dei nostri corpi. Il tutto è estremamente dosato, emotivo, viscerale. Il nostro viaggio è sfumato, indefinibile; stiamo entrando in contatto con noi stessi, ci stiamo avvicinando al nostro io. Si alternano paesaggi onirici ed sognanti, siamo condotti in mezzo alla foschia e siamo sedotti prima che riusciamo ad accorgercene. Siamo cosi distanti da quell'Islanda concreta e tangibile presentata in Ágætis Byrjun, i vulcani e le enormi distese di giacchio si possono solo vagamente intravedere dietro il muro di foschia che ci avvolge e che ci coccola, il tutto è un unico flusso di emozioni, stiamo facendo un viaggio che cancella ogni macchia dalla nostra anima, che ci fa avvicinare a noi stessi.
Sicuramente non un disco facile, può risultare ripetitivo e a tratti noioso ma, se si è nel mood giusto, può farvi vivere un'esperienza unica, indimenticabile.
Siamo di fronte ad un capolavoro, non ci resta che toglierci il cappello e chinare il capo.
mercoledì 11 luglio 2012
The Vickers - Fine For Now
Instancabilmente continuo la difficile ricerca di nuovi sconosciuti gruppi da consigliare,
ed oggi sono orgoglioso di presentarvi questo fantastico gruppo (non così sconosciuto) nato nel 2007 ed entrato nel mondo discografico dal 2009.
Signori e Signore vi presento i Vickers
Il sound della band oscilla tra il miglior pop/rock di origine britannica,
con spunti dall’america indipendente degli anni più recenti, tutto raccolto con grande coerenza e da un
songwriting di altissimo livello da consumare ed ascoltare esclusivamente ad alto volume.
“Fine For Now” è l'album che vi consiglio.
Fine For Now è il secondo lavoro della band, uscito nel 2011 e, secondo me, è un disco estremamente estivo quindi appropriato alle giornate caldissime che stiamo vivendo.
Ideale per canticchiare, con un sound leggero e spensierato.
Insomma questo è un album perfetto per le vostre vacanze.
Inutile parlare delle varie reminescenze di generi, in questo album si trova di tutto, traccia dopo traccia si scovano facilmente le origini e le ispirazioni della band così composta:
Andrea Mastropietro, chitarra e voce
Federico Sereni, basso e cori
Francesco Marchi, chitarra e voce
Marco Biagiotti, batteria e cori
Ebbene si, il gruppo è italiano, come anche la casa discografica, e probabilmente sono più conosciuti
in Inghilterra che qui in Italia.
Oltre manica infatti hanno già tenuto un tour che è andato molto bene e prossimamente potrebbe uscire un nuovo lavoro, mi terrò informato...
Per il momento beccatevi Fine For Now! Suona fresco e vitale ed è questo il bello.
Se non mi credete potete ascoltare le traccie di questo album direttamente
dal sito ufficiale della band:
e se vi piacciono il prezzo del disco è contenuto, 10 euro facili facili!
Che dire di più,
i testi molto belli, il disco è "estivo", ben suonato, costa poco...
ha tutte le carte in regola per essere consigliato!
Voto: 9/10
ed oggi sono orgoglioso di presentarvi questo fantastico gruppo (non così sconosciuto) nato nel 2007 ed entrato nel mondo discografico dal 2009.
Signori e Signore vi presento i Vickers
Il sound della band oscilla tra il miglior pop/rock di origine britannica,
con spunti dall’america indipendente degli anni più recenti, tutto raccolto con grande coerenza e da un
songwriting di altissimo livello da consumare ed ascoltare esclusivamente ad alto volume.
“Fine For Now” è l'album che vi consiglio.
Fine For Now è il secondo lavoro della band, uscito nel 2011 e, secondo me, è un disco estremamente estivo quindi appropriato alle giornate caldissime che stiamo vivendo.
Ideale per canticchiare, con un sound leggero e spensierato.
Insomma questo è un album perfetto per le vostre vacanze.
Inutile parlare delle varie reminescenze di generi, in questo album si trova di tutto, traccia dopo traccia si scovano facilmente le origini e le ispirazioni della band così composta:
Andrea Mastropietro, chitarra e voce
Federico Sereni, basso e cori
Francesco Marchi, chitarra e voce
Marco Biagiotti, batteria e cori
Ebbene si, il gruppo è italiano, come anche la casa discografica, e probabilmente sono più conosciuti
in Inghilterra che qui in Italia.
Oltre manica infatti hanno già tenuto un tour che è andato molto bene e prossimamente potrebbe uscire un nuovo lavoro, mi terrò informato...
Per il momento beccatevi Fine For Now! Suona fresco e vitale ed è questo il bello.
Se non mi credete potete ascoltare le traccie di questo album direttamente
dal sito ufficiale della band:
e se vi piacciono il prezzo del disco è contenuto, 10 euro facili facili!
Che dire di più,
i testi molto belli, il disco è "estivo", ben suonato, costa poco...
ha tutte le carte in regola per essere consigliato!
Voto: 9/10
sabato 19 maggio 2012
Pennywise - Full Circle
Full Circle “circolo vizioso” è un album dai contenuti
sociopolitici, cattiveria contro il sistema, ed in particolare
con il "puppet government" americano, ma anche con una vena di dolore per la
perdita del bassista, Jason Thirsk morto suicida, come si sente nella
canzone dedicata a lui “Bro Hymn”
già presente sul primo album “Pennywise”, ma cambiata nel testo.
È un album che a pochi piacerà, ma a cui sono molto legato. Buon
Ascolto.
“Your life is the most
precious thing that we could lose
Jason Matthew Thirsk
this one's for you” Bro Hymn
Voto 8/10
giovedì 17 maggio 2012
Linea 77: 10
SVEGLIA!
Una svolta, disco diverso dai precedenti, testi completamente in italiano, prendendo un pò le distanze da quanto fatto in precedenza ma al tempo stesso avvicinandosi molto di più ad argomenti anche più delicati come accade ad esempio nella traccia “Il senso”, un palese riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, al tema dell’eutanasia, al rispetto ed alla possibilità di una scelta in un momento delicato.
Anche il chitarrista ormai ha scelto la via del rock, suoni molto più "old" in questo album rispetto ad Horror Vacui, ogni traccia completa un puzzle fatto di attualità, Italia, accenni letterari, spunti filosofici e tanta tanta prospettiva personale del mondo.
Tutto questo secondo me accresce lo spessore di questo album ed è proprio questo che lo differenzia dai precedenti.
Hanno, passatemi l'aggettivo "leggermente", cambiato sound ma hanno pesantemente cambiato tipologia di testi e questo cambiamento "pesante" è una conferma del loro modo di fare, quindi secondo me si bilancia tutto!
A dimostrazione che il cambiamento del sound non è così definito c'è la solita modalità di ascolto che bisogna "attuare" per assaporare ogni album dei linea77.....
Non c'è nulla da fare, bisogna essere un pò incazzati per apprezzarli, e siccome ultimamente mi capita molto spesso
eccomi qua a scrivere di loro!
il voto secondo me sarebbe 8.5
ma visto che hanno decisamente svoltato (secondo me) nel miglior modo possibile...
Voto: 9
Una svolta, disco diverso dai precedenti, testi completamente in italiano, prendendo un pò le distanze da quanto fatto in precedenza ma al tempo stesso avvicinandosi molto di più ad argomenti anche più delicati come accade ad esempio nella traccia “Il senso”, un palese riferimento alla vicenda di Eluana Englaro, al tema dell’eutanasia, al rispetto ed alla possibilità di una scelta in un momento delicato.
Anche il chitarrista ormai ha scelto la via del rock, suoni molto più "old" in questo album rispetto ad Horror Vacui, ogni traccia completa un puzzle fatto di attualità, Italia, accenni letterari, spunti filosofici e tanta tanta prospettiva personale del mondo.
Tutto questo secondo me accresce lo spessore di questo album ed è proprio questo che lo differenzia dai precedenti.
Hanno, passatemi l'aggettivo "leggermente", cambiato sound ma hanno pesantemente cambiato tipologia di testi e questo cambiamento "pesante" è una conferma del loro modo di fare, quindi secondo me si bilancia tutto!
A dimostrazione che il cambiamento del sound non è così definito c'è la solita modalità di ascolto che bisogna "attuare" per assaporare ogni album dei linea77.....
Non c'è nulla da fare, bisogna essere un pò incazzati per apprezzarli, e siccome ultimamente mi capita molto spesso
eccomi qua a scrivere di loro!
il voto secondo me sarebbe 8.5
ma visto che hanno decisamente svoltato (secondo me) nel miglior modo possibile...
Voto: 9
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martedì 10 aprile 2012
Eels: Beautiful Freak
"Perhaps if I hadn't referred to her as a 'freak' she'd still be my girlfriend"
Non trovo le giuste parole per definire questo album. Così come mi è impossibile dare un voto ad
una creazione che fa perdere ogni facoltà, ricordandomi che tutto è arbitrario, facendomi abbandonare ogni sentiero che il mio istinto abbia mai seguito in fatto di musica, cambiando di fatto il modo e il senso di "sentire", non-solo-ascoltare. Un disco che apprezzo ad ogni ascolto di più.
Non mi sono mai dato particolare pena di leggere i testi, di fare quella dietrologia di metainformazioni esagerata che uso fare. Bellissimo mostro credo rifletta parecchio la particolare personalità del cantante, che da l'idea di vedere il mondo attraverso un mal di vivere di base , anche nei momenti più spensierati.
Un bel disco rock alternativo, che fa mostra di un gusto nostalgico lo-fi, certamente da ascoltare tutto. A voler stringere se devo indicare dei "teaser" direi "Novocaine for the soul", "Not ready yet", "Susan's house"
Voto: 8,5
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sabato 24 marzo 2012
Teenage Botterocket: They came from the Shadows
2009 - Punk rock, Power Pop.
"Three chords songs, one string solos". In perfetto stile Ramones e Screeching Weasel.
I quattro ragazzoni del Wyoming lanciano il loro quarto LP riprendendo da dove si erano fermati. Un disco dalle sonorità "old school" che strizza l'occhio (o sarebbe meglio dire entrambi gli occhi) alle sonorità del punk rock americano, quello vero. Suoni grezzi, batteria veloce, ripetitiva e rumorosissima, strumenti a corde suonati totalmente in downstroke. La opening track "Skate or Die" ci fa subito capire cosa ci dobbiamo aspettare da questa piccola perla del pop punk, 2 minuti e 10 di pura energia. In un universo musicale dalle connotazioni totalmente grottesche, i TB tirano fuori un vero disco "vintage" senza cadere nel ridicolo e nel triste scimmiottamento di quel che era. Il Wyoming ci ha regalato la prima cosa bella nel panorama punk rock dopo lo scioglimento degli Screeching Weasel.
Straconsigliato a chi non riesce a dormire senza ascoltare Ramones, Screeching Weasel, Riverdales, Queers.. ;a anche a chi ha bisogno di una bella scarica di energia e fare un po' di bobbing con il capoccione, casomai in sella a uno skate, snowboard o similari.
Voto 8/10
lunedì 19 marzo 2012
Rage Against The Machine: The Battle Of Los Angeles
1999 - Crossover, Alternative Rock, Rapcore - Voto: 8/10
I tempi cambiano ma i nemici sono sempre gli stessi. Non hanno facce nè colori, non hanno fazione politica, sono delle entità superiori. Il nemico è racchiuso nei piccoli gesti giornalieri, dall'ipocrisia in una stretta di mano al razzisimo gratuito quotidiano, dall'indifferenza verso chi non ha all'ignoranza spacciata per sapienza, che dà adito a versioni distorte della realtà. Accettare queste cose perchè siamo assopiti nelle nostre frivole faccende è un po' come morire dentro; è infatti ora di svegliarsi, di far sentire la propria voce. "Battle of Los Angeles", terzo capitolo del trittico di fuoco targato RATM, si propone di fare proprio questo, di incitare la folla a far sentire la propria voce, a scendere in piazza, a scatenare una rivolta. Ci hanno tolto tutto e ci hanno fatto incazzare, non ci resta che essere scorretti, scomodi.
Zack De la Rocha, perfettamente consapevole del potere della propria parola e della sua influenza, aggredisce l'apparato uditivo con rime infuocate e rap al vetriolo, si scaglia con violenza sui reali problemi del nostro tempo e racconta, con il suo flow aggressivo e mai banale, l'impari lotta che esiste tra chi ha e chi non ha, qualsiasi cosa essa sia: soldi, potere o tempo. Chi ha il controllo può ingannarci, può manipolarci; De la Rocha cita Orwell, "Who controls the past controls the future, who controls the present controls the past", ci scuote e ci sovrasta con il suo flow incendiario, ci smuove qualcosa dentro. De la Rocha è capace di alzare un polverone con il suo slang impastato, ci narra delle ingiustizie del nostro mondo come quella di Mumia Abu-Jamal delle Pantere Nere, ci mette la pulce nell'orecchio, ci fa venire voglia di sapere, di conoscere.
Mentre De la Rocha sputa fuoco e fiamme, l'artigiano del suono Tom Morello, a metà strada tra un dj e un chitarrista, tira fuori riff spaccaossa e sonorità al limite dell'udibile, re-interpreta il modo di suonare la chitarra e ci stupisce con funambolici assoli senza note, con riff urticanti e suoni inconsistenti. L'uso improprio della chitarra viene ribadito in ogni pezzo, vengono create atmosfere corrosive e indigeste, ogni pezzo è pronto ad esplodere; si passa con disinvoltura dall'assolo del contatto del jack in 'Testify' al suono alieno di 'New Millennium Homes', vengono imitate sonorità inusuali come quelle dei congegni elettronici o di strumenti aerofoni come la cornamusa. Tutto questo è possibile grazie ad un uso massiccio di effettistica, lo stesso Morello ci tiene a precisare che non è stato utilizzato nessun tipo di campionamento.
Anche la sessione ritmica ha qui più spazio che mai, crea groove trascinanti che riescono ad amalgamarsi perfettamente nel contesto acido e a tratti psichedelico creato dalla chitarra di Morello: ci fanno muovere, non possiamo stare fermi. Non ci resta che alzare il volume, "Turn that shit up" come dice Zack.
C'è chi lo considera un disco più orientato al mainstream, chi lo ha visto come un semplice mossa commerciale; io lo vedo come il disco che porta alla ribellione, che fa scendere in piazza, che blocca Wall Street (vedi il video di "Sleep Now in the Fire"), che ci fa venire voglia di lottare, di sapere le cose come stanno. È anche il disco della fine di un'epoca, la massima popolarità raggiunta coincide con le prime divergenze artistiche, gli intenti ormai sono combiati ed iniziano a vedersi le prime crepe. Pochi anni dopo Bush viene eletto e i RATM hanno perso la loro ultima grande battaglia, non ha senso continuare.
Di loro ci ricorderemo per sempre della carica espressiva, della voglia di ribellione e del genio di Morello.
I tempi cambiano ma i nemici sono sempre gli stessi. Non hanno facce nè colori, non hanno fazione politica, sono delle entità superiori. Il nemico è racchiuso nei piccoli gesti giornalieri, dall'ipocrisia in una stretta di mano al razzisimo gratuito quotidiano, dall'indifferenza verso chi non ha all'ignoranza spacciata per sapienza, che dà adito a versioni distorte della realtà. Accettare queste cose perchè siamo assopiti nelle nostre frivole faccende è un po' come morire dentro; è infatti ora di svegliarsi, di far sentire la propria voce. "Battle of Los Angeles", terzo capitolo del trittico di fuoco targato RATM, si propone di fare proprio questo, di incitare la folla a far sentire la propria voce, a scendere in piazza, a scatenare una rivolta. Ci hanno tolto tutto e ci hanno fatto incazzare, non ci resta che essere scorretti, scomodi.
Zack De la Rocha, perfettamente consapevole del potere della propria parola e della sua influenza, aggredisce l'apparato uditivo con rime infuocate e rap al vetriolo, si scaglia con violenza sui reali problemi del nostro tempo e racconta, con il suo flow aggressivo e mai banale, l'impari lotta che esiste tra chi ha e chi non ha, qualsiasi cosa essa sia: soldi, potere o tempo. Chi ha il controllo può ingannarci, può manipolarci; De la Rocha cita Orwell, "Who controls the past controls the future, who controls the present controls the past", ci scuote e ci sovrasta con il suo flow incendiario, ci smuove qualcosa dentro. De la Rocha è capace di alzare un polverone con il suo slang impastato, ci narra delle ingiustizie del nostro mondo come quella di Mumia Abu-Jamal delle Pantere Nere, ci mette la pulce nell'orecchio, ci fa venire voglia di sapere, di conoscere.
Mentre De la Rocha sputa fuoco e fiamme, l'artigiano del suono Tom Morello, a metà strada tra un dj e un chitarrista, tira fuori riff spaccaossa e sonorità al limite dell'udibile, re-interpreta il modo di suonare la chitarra e ci stupisce con funambolici assoli senza note, con riff urticanti e suoni inconsistenti. L'uso improprio della chitarra viene ribadito in ogni pezzo, vengono create atmosfere corrosive e indigeste, ogni pezzo è pronto ad esplodere; si passa con disinvoltura dall'assolo del contatto del jack in 'Testify' al suono alieno di 'New Millennium Homes', vengono imitate sonorità inusuali come quelle dei congegni elettronici o di strumenti aerofoni come la cornamusa. Tutto questo è possibile grazie ad un uso massiccio di effettistica, lo stesso Morello ci tiene a precisare che non è stato utilizzato nessun tipo di campionamento.
Anche la sessione ritmica ha qui più spazio che mai, crea groove trascinanti che riescono ad amalgamarsi perfettamente nel contesto acido e a tratti psichedelico creato dalla chitarra di Morello: ci fanno muovere, non possiamo stare fermi. Non ci resta che alzare il volume, "Turn that shit up" come dice Zack.
C'è chi lo considera un disco più orientato al mainstream, chi lo ha visto come un semplice mossa commerciale; io lo vedo come il disco che porta alla ribellione, che fa scendere in piazza, che blocca Wall Street (vedi il video di "Sleep Now in the Fire"), che ci fa venire voglia di lottare, di sapere le cose come stanno. È anche il disco della fine di un'epoca, la massima popolarità raggiunta coincide con le prime divergenze artistiche, gli intenti ormai sono combiati ed iniziano a vedersi le prime crepe. Pochi anni dopo Bush viene eletto e i RATM hanno perso la loro ultima grande battaglia, non ha senso continuare.
Di loro ci ricorderemo per sempre della carica espressiva, della voglia di ribellione e del genio di Morello.
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giovedì 23 febbraio 2012
I migliori 14 dischi del 2011 secondo me
Lo so, sono in un ritardo clamoroso. Un ritardo talmente tanto grande che mi era addirittura passata la voglia di scriverla questa classifica! Ovviamente questa si basa sui dischi che ho ascoltato che, ovviamente, non sono tutti. Vi prego non mi chiedete nè dei Bon Iver nè di James Blake in quanto dei primi non ho ascoltato l'ultimo disco mentre, di James Blake, penso che il suo unico disco sia parecchio sopravvalutato.
14) Cage the Elephant: Thank You, Happy Birthday
(alternative rock, punk rock)
Volevo dedicare una posizione a quello che io definisco il rock 'gracile', quel rock a cui manca sempre qualcosa per essere veramente degno di nota.
Ho citato solo i 'Cage the elephant' ma potevo fare almeno altri 100 nomi, tipo 'Vaccines', i 'The Maccabees' o altri gruppi analoghi, tutti gruppi degni di nota ma che, purtroppo, si dimenticheranno molto presto. Inserisco in segno di rivolta pure i 'Rival Sons' che, anche se non facilmente accumunabili ai gruppi sopra citati, sono arrivati con 40 anni di ritardo.
In particolare 'Thank You, Happy Birthday' è un disco che scorre veloce, riesce a rielaborare alcuni concetti ormai datati del punk-rock e porta una ventata di aria fresca in questo panorama. che rischiava di puzzare di stantio.
13)Wild Beast: Smother (alt-pop)
La carica emotiva e il romanticismo presenti in questo disco lasciano sorpresi, senza fiato. Atmosfere soffuse in un' ambientazione minimalista, testi perfetti e citazioni in ogni dove. Disco che, ascolto dopo ascolto, cresce di intensità e aggiunge nuovi stimoli sonori.
12) The pain of begin pure at heart: Belong
(indie pop, shoegaze, dream pop)
L'elogio all'agrodolce. Sognanti sonorità shoegaze miste a testi malinconici, atmosfere ovattate e voce filtrata. Notevoli intrecci vocali misti a melodie dark-pop. Il tutto entrerà subito in circolo, senza che ve ne accorgiate.
11) Trail of Dead: Tao Of The Dead
(alternative rock, progressive rock)
Non è da tutti far diventare 'accessibile' un genere tanto ostico come il progressive, reinventandolo e contaminandolo con venature 'pop'. A differenza dei dischi precedenti la durata delle canzoni è diventata accessibile, il tutto è reso più scorrevole e leggero anche se si continua a percepire una tensione musicale in sottofondo; restano sempre intatti gli elementi che hanno caratterizzato la band dagli esordi, cioè le soluzioni geniali, gli improvvisi cambi ritmici e le progressioni che portano le canzoni ad esplodere velocemente.
10) Fleet Foxes: Helplessness Blues
( indie rock, folk rock, alternative rock)
Per apprezzare veramente questo disco bisogna essere nello stato d'animo giusto; non è presente infatti l'immediatezza che ha contraddistinto il disco precedente, qui le atmosfere sono dilatate e soffuse, i tempi estremamente lenti. Le musiche sono principalmente oniriche e sognanti, agli strumenti tradizionali si affiancano mandolini e organi, le melodie sono compatte e il tutto ben riuscito anche se può risultare un po' troppo ambizioso. Ho perso moltissimo tempo per capire il reale significato del disco ma, appena lo si coglie, può cambiarti qualcosa dentro.
9) Mastodon: The Hunter
(progressive metal, alternative metal)
Nel corso degli anni i Mastodon sono riusciti ad affrontare diversi generi musicali, sono passati dalla violenza sonora degli esordi all'elaborato progressive metal di "Crack the Skye", definendo uno stile e un'evoluzione del tutto unica. In questo caso invece vengono abbandonate completamente le violente cavalcate del passato, il growl profondo viene sostituito con una voce pulita e la durata delle canzoni viene ridimensionata, rendendo il disco meno elaborato ma sicuramente più accessibile.
8) The Battles: Gloss Drop (post rock, math rock)
C'è qualcosa di diverso in questo disco, sembra che quell'alchimia e quella spontaneità presente nel disco precedente sia ormai lontana, tutto sembra un po' forzato e il calcare la mano sempre sulle stesse soluzioni non certo aiuta. Il loro distinguibilissimo genere è sempre presente, sono ancora 10 anni davanti ai gruppi attuali e sono ancora al limite della follia, ma qualcosa è cambiato.
7) The Strokes: Angles (indie rock)
Quello che mi è sempre piaciuto negli Strokes è la freschezza delle chitarre ed il loro continuo intrecciarsi, le svariate fonti di inspirazione e lo stile 'Television oriented'. In questo lavoro il tutto viene arricchito da ritmi caraibici, dall'elettronica e da un tocco di '80 che non fa mai male. Anche se si è persa molta dell'incisività degli esordi e si mira verso lidi più pop, non mancano di certo gli elementi che li hanno resi tanto celebri, come i riff graffianti e le elaborate melodie.
6) Adele: 21 (pop, soul)
A volte il talento è vero, genuino. Eccezionale disco pop che sfiora diversi generi, dal soul al country e dallo swing al classico, lascia in bocca un amaro sapore malinconico e nostalgico. Niente è lasciato al caso, tutto è perfetto, dalle melodie scarne ma efficaci ai testi curati che, nel loro piccolo, lasciano sorpresi per l'immediatezza e per il buon gusto. Io tifo per te Adele, sgomina tutti quei rapper buzzurri e porta un po' di buon gusto nel mondo del pop commerciale, tutto il tuo successo è veramente meritato.
5) Yuck: Yuck (indie rock, shoegaze)
Questi Yuck sembrano avere studiato molto bene il sound e lo stile dei primi anni 90, J Mascis sarebbe orgolioso di loro. Rispolverano uno stile e un genere che era caduto nel dimenticatoio, provano a reinventarlo aggiungendo un po' di shoegaze e una sottile venatura di pop. Gli elementi 90' sono presenti più che mai, le linee melodiche sono bene definite e distinguibili; l'unica pecca è che tendono ad allungarsi troppo quando non dovrebbero, il che risulta a tratti noioso.
4) The Decemberists: The King Is Dead
(indie pop, folk rock)
L'occhialuto Colin Meloy veste i panni di un abile menestrello e ci racconta, attraverso rilassate melodie folk, placide storie da focolare e riesce a far emergere uno spirito bucolico, agreste. La sua voce vellutata si amalgama perfettamente sia sulle elaborate melodie folk sia sulle scarne ballate presenti nel disco, ci rilassa e ci fa sognare. Rispetto al disco precedente si vira più verso schemi più semplici ma efficaci, si abbandonano quasi del tutto le complesse trame melodiche e ci si dedica molto di più all'immediatezza e all'orecchiabilità.
3) Mogwai: Hardcore Will Never Die, But You Will
(alternative rock, post rock)
Ci sono gruppi su cui metterei la mano sul fuoco, acquisterei a scatola chiusa i nuovi dischi e andrei a tutti i loro concerti; sicuramente i Mogwai sono uno di questi gruppi, loro che non sbagliano un colpo, che riescono sempre a farmi viaggiare e ad emozionare. Riescono a reinventare un genere ormai datato in modo del tutto spontaneo e naturale, niente forzature, tutto scorre via tranquillo. Mettetevi comodi, il viaggio è molto intenso.
2) The Black Keys: El Camino
(alternative rock, blues, soul)
Un amore fatto di attese sfrenate e di canzoni cantate a squarciagola in macchina la notte, dischi distrutti e poi acquistati originali, non ne posso più fare a me. Il tutto da 10 anni a questa parte. In tutto questo tempo siete stati degli ottimi compagni di viaggio e degli amici fidati, mi avete alleggerito di parecchi dei miei pesi e mi siete stati vicino nei momenti difficili.
1) Wilco: The Whole Love
(indie rock, alternative rock, folk rock)
Se prendo in mano i periodi veramente importanti della mia vita questi hanno un unico fattore in comune: i Wilco. In questo capitolo vengono abbandonate le sofferenze interiori, ci si spoglia dei dolori passati e si è pronti ad affrontare una nuova sfida: quella dell'andare avanti con leggerezza ed allegria, dobbiamo dimenticarci dei dolori passati per poter affrontare quello che la vita ha ancora da proporci. In fondo tutti noi abbiamo bisogno di questo, bisogna smettere di essere vittime del passato. Disco che ti lascia incantato e sognante, ti lascia un'emozione nel cuore e con un leggero senso di allegria che ti pervade l'anima.
14) Cage the Elephant: Thank You, Happy Birthday
(alternative rock, punk rock)
Volevo dedicare una posizione a quello che io definisco il rock 'gracile', quel rock a cui manca sempre qualcosa per essere veramente degno di nota.
Ho citato solo i 'Cage the elephant' ma potevo fare almeno altri 100 nomi, tipo 'Vaccines', i 'The Maccabees' o altri gruppi analoghi, tutti gruppi degni di nota ma che, purtroppo, si dimenticheranno molto presto. Inserisco in segno di rivolta pure i 'Rival Sons' che, anche se non facilmente accumunabili ai gruppi sopra citati, sono arrivati con 40 anni di ritardo.
In particolare 'Thank You, Happy Birthday' è un disco che scorre veloce, riesce a rielaborare alcuni concetti ormai datati del punk-rock e porta una ventata di aria fresca in questo panorama. che rischiava di puzzare di stantio.
13)Wild Beast: Smother (alt-pop)
La carica emotiva e il romanticismo presenti in questo disco lasciano sorpresi, senza fiato. Atmosfere soffuse in un' ambientazione minimalista, testi perfetti e citazioni in ogni dove. Disco che, ascolto dopo ascolto, cresce di intensità e aggiunge nuovi stimoli sonori.
12) The pain of begin pure at heart: Belong
(indie pop, shoegaze, dream pop)
L'elogio all'agrodolce. Sognanti sonorità shoegaze miste a testi malinconici, atmosfere ovattate e voce filtrata. Notevoli intrecci vocali misti a melodie dark-pop. Il tutto entrerà subito in circolo, senza che ve ne accorgiate.
11) Trail of Dead: Tao Of The Dead
(alternative rock, progressive rock)
Non è da tutti far diventare 'accessibile' un genere tanto ostico come il progressive, reinventandolo e contaminandolo con venature 'pop'. A differenza dei dischi precedenti la durata delle canzoni è diventata accessibile, il tutto è reso più scorrevole e leggero anche se si continua a percepire una tensione musicale in sottofondo; restano sempre intatti gli elementi che hanno caratterizzato la band dagli esordi, cioè le soluzioni geniali, gli improvvisi cambi ritmici e le progressioni che portano le canzoni ad esplodere velocemente.
10) Fleet Foxes: Helplessness Blues
( indie rock, folk rock, alternative rock)
9) Mastodon: The Hunter
(progressive metal, alternative metal)
Nel corso degli anni i Mastodon sono riusciti ad affrontare diversi generi musicali, sono passati dalla violenza sonora degli esordi all'elaborato progressive metal di "Crack the Skye", definendo uno stile e un'evoluzione del tutto unica. In questo caso invece vengono abbandonate completamente le violente cavalcate del passato, il growl profondo viene sostituito con una voce pulita e la durata delle canzoni viene ridimensionata, rendendo il disco meno elaborato ma sicuramente più accessibile.
8) The Battles: Gloss Drop (post rock, math rock)
C'è qualcosa di diverso in questo disco, sembra che quell'alchimia e quella spontaneità presente nel disco precedente sia ormai lontana, tutto sembra un po' forzato e il calcare la mano sempre sulle stesse soluzioni non certo aiuta. Il loro distinguibilissimo genere è sempre presente, sono ancora 10 anni davanti ai gruppi attuali e sono ancora al limite della follia, ma qualcosa è cambiato.
7) The Strokes: Angles (indie rock)
Quello che mi è sempre piaciuto negli Strokes è la freschezza delle chitarre ed il loro continuo intrecciarsi, le svariate fonti di inspirazione e lo stile 'Television oriented'. In questo lavoro il tutto viene arricchito da ritmi caraibici, dall'elettronica e da un tocco di '80 che non fa mai male. Anche se si è persa molta dell'incisività degli esordi e si mira verso lidi più pop, non mancano di certo gli elementi che li hanno resi tanto celebri, come i riff graffianti e le elaborate melodie.
6) Adele: 21 (pop, soul)
A volte il talento è vero, genuino. Eccezionale disco pop che sfiora diversi generi, dal soul al country e dallo swing al classico, lascia in bocca un amaro sapore malinconico e nostalgico. Niente è lasciato al caso, tutto è perfetto, dalle melodie scarne ma efficaci ai testi curati che, nel loro piccolo, lasciano sorpresi per l'immediatezza e per il buon gusto. Io tifo per te Adele, sgomina tutti quei rapper buzzurri e porta un po' di buon gusto nel mondo del pop commerciale, tutto il tuo successo è veramente meritato.
5) Yuck: Yuck (indie rock, shoegaze)
Questi Yuck sembrano avere studiato molto bene il sound e lo stile dei primi anni 90, J Mascis sarebbe orgolioso di loro. Rispolverano uno stile e un genere che era caduto nel dimenticatoio, provano a reinventarlo aggiungendo un po' di shoegaze e una sottile venatura di pop. Gli elementi 90' sono presenti più che mai, le linee melodiche sono bene definite e distinguibili; l'unica pecca è che tendono ad allungarsi troppo quando non dovrebbero, il che risulta a tratti noioso.
4) The Decemberists: The King Is Dead
(indie pop, folk rock)
L'occhialuto Colin Meloy veste i panni di un abile menestrello e ci racconta, attraverso rilassate melodie folk, placide storie da focolare e riesce a far emergere uno spirito bucolico, agreste. La sua voce vellutata si amalgama perfettamente sia sulle elaborate melodie folk sia sulle scarne ballate presenti nel disco, ci rilassa e ci fa sognare. Rispetto al disco precedente si vira più verso schemi più semplici ma efficaci, si abbandonano quasi del tutto le complesse trame melodiche e ci si dedica molto di più all'immediatezza e all'orecchiabilità.
3) Mogwai: Hardcore Will Never Die, But You Will
(alternative rock, post rock)
Ci sono gruppi su cui metterei la mano sul fuoco, acquisterei a scatola chiusa i nuovi dischi e andrei a tutti i loro concerti; sicuramente i Mogwai sono uno di questi gruppi, loro che non sbagliano un colpo, che riescono sempre a farmi viaggiare e ad emozionare. Riescono a reinventare un genere ormai datato in modo del tutto spontaneo e naturale, niente forzature, tutto scorre via tranquillo. Mettetevi comodi, il viaggio è molto intenso.
2) The Black Keys: El Camino
(alternative rock, blues, soul)
Un amore fatto di attese sfrenate e di canzoni cantate a squarciagola in macchina la notte, dischi distrutti e poi acquistati originali, non ne posso più fare a me. Il tutto da 10 anni a questa parte. In tutto questo tempo siete stati degli ottimi compagni di viaggio e degli amici fidati, mi avete alleggerito di parecchi dei miei pesi e mi siete stati vicino nei momenti difficili.
1) Wilco: The Whole Love
(indie rock, alternative rock, folk rock)
Se prendo in mano i periodi veramente importanti della mia vita questi hanno un unico fattore in comune: i Wilco. In questo capitolo vengono abbandonate le sofferenze interiori, ci si spoglia dei dolori passati e si è pronti ad affrontare una nuova sfida: quella dell'andare avanti con leggerezza ed allegria, dobbiamo dimenticarci dei dolori passati per poter affrontare quello che la vita ha ancora da proporci. In fondo tutti noi abbiamo bisogno di questo, bisogna smettere di essere vittime del passato. Disco che ti lascia incantato e sognante, ti lascia un'emozione nel cuore e con un leggero senso di allegria che ti pervade l'anima.
venerdì 17 febbraio 2012
Ladies and Gentlemen, Simon & Garfunkel
Proverò a dare senso compiuto allo stato di grazia che provo in questo momento nell'ascoltare questi due dischi, i quali per me sono "quelli che contano di Simon & Garfunkel".
Wednesday Morning, 3 A.M. (Recorded March 10–31, 1964)
Una soffiata sui solchi, la puntina sul bordo, l'alzabraccio cede, *thumpf*
giunti al bordo dell'etichetta, si dimentica quasi di essere su quello stesso pianeta in cui nel 1964 Paul Simon e Art Garfunkel hanno concepito un lato A di una dolcezza ormai perduta in solo mezzo secolo.
Insomma dov'è finito lo spread, il credit crunch, le bancherotte? shhh meglio così...
IL LATO A fra tutti i lati a, semplicemente il più dolce del mondo.
Anche a nome dei Kings of Convenience: GRAZIE
The Concert in Central Park (19 sept. 1981)
Signore e signori "Simon & Garfunkel", così il sindaco di New York introduce Paul e Art.
Mica male eh?
Si comincia ballando su Mrs. Robinson (devo vederlo IL LAUREATO prima o poi, forse stasera)
Provate voi a non sognare l' "America", dopo "Homeward Bound".
Salutate vostra moglie, per andare via per un po' giusto per riflettere sul tempo che è passato, con "Still crazy after all these years".
Fermarsi un istante alla "Scarborough Fair" a rimanere incantati nel ricordo della spensieratezza nel "cortile di scuola con Julio", poco prima di imboccare il "ponte su acque tumultuose" che conduce all'oscurità, vecchia amica e confidente...
L'età adulta, è giunta.
Setlist fantastica. Live ETERNO.
-
Voti: cum laude
Wednesday Morning, 3 A.M. (Recorded March 10–31, 1964)
Una soffiata sui solchi, la puntina sul bordo, l'alzabraccio cede, *thumpf*
giunti al bordo dell'etichetta, si dimentica quasi di essere su quello stesso pianeta in cui nel 1964 Paul Simon e Art Garfunkel hanno concepito un lato A di una dolcezza ormai perduta in solo mezzo secolo.
Insomma dov'è finito lo spread, il credit crunch, le bancherotte? shhh meglio così...
IL LATO A fra tutti i lati a, semplicemente il più dolce del mondo.
Anche a nome dei Kings of Convenience: GRAZIE
The Concert in Central Park (19 sept. 1981)
Signore e signori "Simon & Garfunkel", così il sindaco di New York introduce Paul e Art.
Mica male eh?
Si comincia ballando su Mrs. Robinson (devo vederlo IL LAUREATO prima o poi, forse stasera)
Provate voi a non sognare l' "America", dopo "Homeward Bound".
Salutate vostra moglie, per andare via per un po' giusto per riflettere sul tempo che è passato, con "Still crazy after all these years".
Fermarsi un istante alla "Scarborough Fair" a rimanere incantati nel ricordo della spensieratezza nel "cortile di scuola con Julio", poco prima di imboccare il "ponte su acque tumultuose" che conduce all'oscurità, vecchia amica e confidente...
L'età adulta, è giunta.
Setlist fantastica. Live ETERNO.
-
Voti: cum laude
martedì 17 gennaio 2012
Hugh Laurie: Let Them Talk
Let Them Talk pubblicato nel Regno Unito il 9 maggio 2011 è l’album di debutto del cinquantunenne Hugh Laurie che già sceneggiatore e regista decide di assecondare la sua passione per la musica e nel 2010 comincia a lavorare a questo progetto con la collaborazione, in alcuni brani, di vari artisti come Tom Jones, Irma Thomas e Dr. John.
Questo è un disco che raccoglie cover di mostri sacri del jazz e del blues (come Ray Charles o Louis Armstrong).
Alcuni mesi prima che uscisse il disco Laurie suona o meglio concede un’anteprima di alcune canzoni in un piccolo locale a New Orealns nel marzo del 2011.
Album piacevole e divertente, da ascoltare assolutamente!
Voto 10/10
Questo è un disco che raccoglie cover di mostri sacri del jazz e del blues (come Ray Charles o Louis Armstrong).
Alcuni mesi prima che uscisse il disco Laurie suona o meglio concede un’anteprima di alcune canzoni in un piccolo locale a New Orealns nel marzo del 2011.
Album piacevole e divertente, da ascoltare assolutamente!
Voto 10/10
mercoledì 11 gennaio 2012
Micah P. Hinson: Micah P. Hinson and the Gospel of Progress
Micah P. Hinson è un cantautore e chitarrista statunitense nato a Memphis il 30 marzo del 1981 (stesso giorno in cui Ronald Reagan viene colpito durante un attentato).
Hinson cresce in una famiglia molto cristiana e conservatrice ma nonostante questo,prima di compiere venti anni viene arrestato, combatte contro notevoli problemi di tossicodipendenza e colleziona una lunga lista di denunce che parte dalle risse concludendosi alla dichiarazione di bancarotta.
Il suo debutto viene registrato nell'inverno del 2003, con l'assistenza, dal Texas, dalla camera da letto del collettivo pop The Earlies che ha aggiunto uno sfondo di stravaganza alle storie di amori, perdite e sofferenze di Hinson.
Micah P. Hinson and the Gospel of Progress è stato scritto in un periodo in cui il cantautore era tossicodipendente, senza casa e con un breve periodo trascorso in carcere.
Le canzoni, intense, riflettono questo stato d'animo con la voce che si dimostra più adulta dei suoi, all'epoca, ventidue anni.
Album di divina umanità, di sacro e dissacrante vivere.
Note leggere che colpiscono violente attraverso i poderosi e pregnanti testi.
Voto 9/10
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